#analisi grammaticale
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lesbicastagna · 2 years ago
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fatuebrine · 6 days ago
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analisi grammaticale di una vecchia omelia: ero prete una volta, quando dissi fratelli e sorelle impiccatevi o costruitevi una capanna, torturare i vostri amici e i vostri parenti, camminate spediti lungo il cammino del sangue, sbattete la cipria delle vostre mogli sui muri, insozzate il bianco di rosso e blu, truccate le foglie, cancellate i versi, siate persone che giocano a esser persone, ditemi voi come posso vivere io qui, con questo paramento, mille giorni di penitenza senza neppure bere del vino discreto.
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jamesetharn · 3 months ago
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Analisi Logica Avanzata
L’analisi logica è una disciplina fondamentale per padroneggiare la lingua italiana, poiché consente di comprendere a fondo la struttura delle frasi e il loro significato. Per studenti, insegnanti o appassionati di lingue, l’analisi logica è il primo passo per migliorare l'uso e la comprensione della lingua. Con l’avvento del Web 2.0, ci sono strumenti online avanzati che semplificano questo processo, rendendo l’analisi logica accessibile a tutti.
Uno di questi strumenti è l'Analizzatore Logico Online, una risorsa ideale per decifrare il flusso logico delle frasi italiane. Vediamo come questo strumento funziona e perché è rilevante per diverse categorie di utenti.
Come Funziona lo Strumento di Analisi Logica?
Lo strumento è progettato per scomporre le frasi nelle loro parti essenziali, come il soggetto, il predicato, e l'oggetto. Ecco una semplice guida per utilizzarlo:
Inserisci la frase: Scrivi o incolla la frase che desideri analizzare.
Clicca su "Analisi Logica": Il software elaborerà rapidamente la struttura della frase.
Esamina i risultati: Lo strumento evidenzierà i vari componenti grammaticali della frase.
Grazie a un'interfaccia intuitiva e al riconoscimento vocale, è facile da usare anche per chi ha poca familiarità con l'analisi grammaticale.
Caratteristiche PrincipaliAccuratezza: Lo strumento utilizza regole avanzate della sintassi italiana per garantire un’analisi precisa.Velocità: L’analisi viene eseguita in pochi istanti, risparmiando tempo prezioso.Accessibilità: Essendo completamente gratuito e online, può essere utilizzato ovunque e in qualsiasi momento.
Rilevanza e Benefici
L’utilizzo di uno strumento di analisi logica avanzata offre vari vantaggi. Ad esempio, gli studenti possono migliorare le loro competenze linguistiche, mentre gli insegnanti possono creare lezioni più coinvolgenti. Anche chi desidera imparare l’italiano come seconda lingua può trarre enorme beneficio, in quanto lo strumento permette di esercitarsi in modo autonomo e continuo.
A Chi è Rivolto?
Questo strumento è particolarmente utile per:Studenti Facilita lo studio della lingua italiana, aiutando a comprendere meglio la struttura delle frasi.
InsegnantiPuò essere usato per creare esercizi e test di analisi logica per le lezioni.
Appassionati di lingue: Chiunque voglia migliorare la propria comprensione della sintassi italiana troverà questo strumento un'ottima risorsa.
Conclusione
Con strumenti online di analisi logica avanzata, come quello descritto, la comprensione della lingua italiana diventa più accessibile e dinamica. Che tu sia uno studente, un insegnante o un appassionato di lingue, padroneggiare la struttura logica delle frasi non è mai stato così facile e immediato.
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turuin · 8 months ago
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secondo voi, "copione" è un nome primitivo o derivato? Io ho una forte opinione in proposito e non studio analisi grammaticale dal 1988.
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letteredalucca · 1 year ago
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Lo dico soprattutto alle bimbe...
Come ho avuto modo di dire molte volte io ho adorato la mia maestra, la signora del dado Star, con la messa in piega perfetta, le mani eleganti e una grande passione per il Risorgimento e l’ analisi grammaticale. Un giorno, per dei lavoretti di Natale o Pasqua, non ricordo, ci fece portare a scuola delle mollette di legno per i panni, quegli oggetti che si dividono in due, si dispongono al…
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andreatemporelli · 4 years ago
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L'obiettivo da raggiugere - Esempio di analisi
Ecco come si svolge l’analisi di un periodo attraverso il metodo digitale, che verrà spiegato step by step nelle prossime lezioni. Qui analisi grammaticale e analisi logica non sono distinte
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lalupabianca · 6 years ago
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"NOI: nell'analisi grammaticale è prima persona plurale, nella realtà io e te, nei miei sogni, una cosa sola"
-LaLupaBianca(31/5/2019)
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diceriadelluntore · 3 years ago
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Cose Belle
«È vero, principe, che una volta avete detto che il mondo sarà salvato dalla bellezza? Signori miei,» gridò egli improvvisamente, rivolgendosi a tutti, «il principe afferma che il mondo sarà salvato dalla bellezza! Ed io, invece, affermo che ha di questi pensieri frivoli perché è innamorato. Signori, il principe è innamorato, me ne sono convinto definitivamente non appena lo vidi entrare qui or ora. Non arrossite, principe, altrimenti mi farete pietà. Quale bellezza salverà il mondo? Me lo comunicò Kolja… Siete un cristiano fervente voi? Kolja dice che voi stesso vi attribuite il titolo di cristiano». Il principe, che lo osservava attentamente, non rispose.
Fedor Dostoevskij, L’idiota (edizione di riferimento Garzanti, traduzione di R. Kufferle)
Orbene, la bellezza che salverà il mondo alla fine non è un affermazione ma addirittura una invettiva retorica un filo irriverente che Ippolit fa al Principe Myskin. Sull’argomento c’è una sterminata saggistica, che parte dalla costruzione semantica e grammaticale delle suddette frasi fino ad analisi socio-religiose sul pensiero di Dostoevskij. 
Prendo spunto però dalla visita alle giornate di primavera FAI di domenica per proporre un percorso di bellezza. Infatti chiedo a chi vorrà contribuire di segnalare un luogo, artistico (un museo, una pinacoteca, un monumento), un angolo della città o del paese dove vive (una piazza, una strada, un teatro, un belvedere), oppure un parco, un giardino. L’unica qualità che sarebbe bello mantenere è che sia un posto che non è “famoso”, o quantomeno non rientra nei circuiti turistici convenzionali se esistono nel posto che vorrete scegliere.
Basta rebloggare questo post o taggarmi, aggiungendo lo stesso titolo del mio post, Cose Belle, e aggiungere la vostra scelta, se vi va con una foto e una piccola descrizione. Siccome a me è venuto lo schiribizzo, io inizio da questo posto:
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Il Museo Diocesano San Matteo di Salerno. All’interno contiene reperti che vanno dall’anno mille, quando Salerno era una delle grandi città del Mediterraneo prima con i Longobardi e poi con i Normanni al XIX secolo. Tra le meraviglie, una collezione unica al mondo di tavolette di avorio
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67 tavolette con le storie dell’Antico e del Nuovo Testamento, il cui utilizzo e la cui funzione ancora oggi sono motivo di dibattito storico;
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gli Exultet, rotoli liturgici illustrati con cui i fedeli potevano seguire il rito attraverso le figure presenti sul rotolo
e uno dei miei quadri preferiti
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la Giuditta e la fantesca (1635-1640) di Francesco Guarini, che prima della scoperta della seconda versione di Giuditta e Oloferne di Caravaggio in Francia pochi anni fa, era stata assegnata da alcuni studiosi come opera del Merisi. Da notare la treccia di capelli biondi e la testa di Oloferne che si intravede appena nel sacco che ha in braccio.
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fedtothenight · 4 years ago
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I’ve been living in the UK for years and the fact is that many adults I’ve interacted with have always justified their spelling / grammar mistakes with “We just were never taught it in school.” It’s way too common. It’s not that they don’t know what a present continuous is, adults don’t even know the difference between there, they’re and their as a result — let alone anything else.
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English speaker privilege is calling a quirk a basic yet embarrassing education problem
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vefa321 · 5 years ago
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Le mezze idee
Non credo nelle mezze cose, dalle stagioni alle mezze vie. Credo negli sbagli tutto interi, di quelli che ti lasciano per primo il sedere a terra, che ci metti il tempo lungo per rialzarti come si sgrana un calendario o si fa un puzzle di 3000 pezzi.
Non credo a tutto ciò che sia approssimativamente un buon risultato, nel bene e nel male, alla legge di chi si accontenta gode, la vita non è mai la metà di se stessa, perché di fatto è sempre tutta intera per quanto non sia la sua lunghezza il metro di riferimento, ma l’intensità del suo svolgere.
Non credo al parzialmente scremato nemmeno fosse quello del latte, al decaffeinato che sembra ma non è, alla coca cola light e la Nutella senza olio di palma.
Non credo che siamo la metà giusta per qualcuno, ma solo la parte intera di una coppia che ci crede davvero, neanche il complemento d’oggetto di una analisi grammaticale, e forse nemmeno il giorno e la notte sono complementari, solo distinte parte di un insieme.
Credo alle vie di fatto, ai gesti decisi, alle frasi pronunciate e le parole scritte. Alle facce stanche delle notti insonne, alle paure vere, ai timori incerti del domani, alle domande che non avranno risposte, ai dubbi che mi toglierà nessun’altro che me stessa, alle fatiche sudate delle conquiste, ai pianti generosi dei fallimenti, ai passi da compiere uno dopo l’altro che siano in salita o in discesa, dal vincere al perdere.
Credo ai ricordi a tratti ingannevoli della memoria ed ai sogni esagerati degli ottimisti, alla Storia che si racconta, al presente che si vive, al domani esasperato dalle previsioni del meteo e dei calcoli matematici.
insomma se devo credere, voglio credere di potere scegliere. Perché più del credo, della fede, della fiducia. dei gusti, dei desideri, voglio il potere di decidere di sbagliare di testa mia, che sia un vizio od una virtù, la libertà dovrebbe essere credibile non sindacabile.
@vefa321​
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magicnightfall · 5 years ago
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(IF YOU WANNA BE MY) LOVER
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you gotta get with my friends. Si può dire, per restare in tema spicegirlsiano, che questi amici siano i precedenti sei album di Taylor Swift: Taylor Swift (duh), Fearless, Speak Now, Red, 1989 e reputation. C’è, infatti, una differenza fondamentale tra quelli e Lover, il suo ultimo lavoro, che non riguarda né il genere, né la poetica: Lover è il primo disco pubblicato con la nuova etichetta, la Republic Records, e non con quella storica che era la Big Machine Records. Invero, il trasloco ad altra casa discografica non è stato propriamente un fulmine a ciel sereno, perché si sapeva da un po’ che il suo contratto era in scadenza, e non c'erano voci di un rinnovo. Ciò che, tuttavia, ha creato un vero e proprio terremoto - tanto nei fan quanto nell’industria musicale stessa - è stato il motivo sotteso a questa rivoluzione: il fatto che, all’avvicendarsi di un nuovo consiglio di amministrazione nella Big Machine dopo l'alienazione della stessa, abbia fatto seguito il categorico rifiuto di vendere a Taylor i master delle canzoni prodotte e distribuite sotto l’egida di detta casa discografica fino a quel momento, ovvero fino a reputation. A onor del vero, le era stato proposto di “riguadagnarseli” uno a uno: un vecchio album per ogni nuovo, una clausola che più che vessatoria era semplicemente ricattatoria. Ora, per quanto i diritti di autore - morali e, in parte, economici - siano comunque riconosciuti, in questo modo Taylor ha perso (ed è evidente che non l’abbia mai avuto) il pieno controllo della sua produzione musicale. In quanto di proprietà di altri, infatti, non può opporsi all’utilizzo che quegli stessi decidano di farne: se ridistribuirla e come, se utilizzarla e come (film, pubblicità…). Lover, d’altro canto, costituisce un vero e proprio spartiacque tra il passato e presente, in quanto si tratta del primo album che Taylor possiede davvero. In effetti, la questione dell’avere piena disponibilità del proprio lavoro artistico è diventato in breve il pièce de résistance del suo pensiero nel contesto del business musicale: non c’è intervista, dopo che la cosa è diventata di pubblico dominio, in cui non ne abbia fatta menzione, e nella live-chat per il rilascio del video di Lover è stato il primo consiglio che ha dato rispondendo alla domanda su cosa consigliasse a chi volesse intraprendere la carriera di cantautore: “Cerca di fare del tuo meglio per avere la proprietà del tuo lavoro”. Come già per le note questioni Spotify e Apple Music (di cui potete leggere qui) Taylor si trova a fare da apripista per una conversazione più ampia, che non riguarda solo lei stessa, ma tutti gli artisti in generale. In questo senso è un po’ come il Titanic: è necessario che contro l’iceberg si schianti qualcuno o qualcosa di molto grosso e di molto rilevante, perché poi ci si adoperi per cambiare le cose. Così, se è stato proprio il naufragio del Titanic ad avviare il processo di riforma della legislazione marittima, rendendola più rispondente alle esigenze emerse l’indomani del disastro (per farvela molto breve: scialuppe in numero sufficiente per tutte le persone a bordo, operatori radiotelegrafici in servizio giorno e notte, generatori ausiliari di corrente, scafi rinforzati, riduzione della velocità in presenza di ghiaccio), così Taylor si appresta a rivoluzionare (di nuovo) l'industria discografica. Questo perché la gattara ha sempre dimostrato di riuscire a stare a galla con più di quattro compartimenti invasi dall’acqua, e siccome è sempre la prima a sbatterci il muso e non è mai tipa da lasciar correre, e vista e sperimentata la sua influenza, sono sicura che nel prossimo futuro si assisterà a una qualche inversione di tendenza. O perlomeno, il che è comunque auspicabile, i giovani artisti si affacceranno in questo mondo con una maggiore consapevolezza di quello che li aspetta, e forse sapranno anche tutelarsi. Fatta questa dovuta premessa, Lover. È un bell’album. Un gran bell’album. Anche se non sono ancora sicura se sia allo stesso livello di 1989, che per me è il non plus ultra a livello spirituale, ecumenico e grammaticale, di sicuro si colloca sul podio. È un album sull’amore e tutte le sue sfaccettature - positive, negative, finanche spaventose - e il fatto che una persona quale yours truly, che non è mai stata innamorata di niente e di nessuno se non di Floppy, il suo gatto (e, ochèi, di John Krasinski), lo piazzi così tanto in alto nella sua classifica personale, è piuttosto eloquente di come, tredici anni di carriera e sette dischi dopo, Taylor Swift ci sappia ancora fare. *** Com’è ormai tradizione all’uscita di ogni nuovo album, in questo papiro oscenamente lungo proporrò la mia analisi dei brani di Lover. Devo dire che, rispetto agli altri di cui ho scritto (Red, 1989 e reputation) ho avuto parecchia difficoltà a fare mente locale e a ragionarci sopra. È vero che questo disco arriva in un momento, per me, psicologicamente davvero sfibrante, ma non è solo questo: il fatto è che, dietro al pop energico, accattivante e orecchiabile, Taylor ha saputo nascondere una complessità - umana e artistica - che ho faticato a mettere per iscritto. Mai come con quest’album ho pensato, infatti, che la musica di Taylor vada lasciata fluttuare nell’etere senza doverla per forza ancorare a qualcosa, qualsiasi cosa, che sia un’analisi, un ragionamento, un goffo tentativo di sviscerarla. Anche in questo senso il divario tra Lover e il suo immediato predecessore, reputation, non potrebbe allora essere più marcato: non solo per le atmosfere calde, rassicuranti e (per lo più) felici dell’uno rispetto a quelle cupe, elettriche, a tratti nervose dell’altro, ma anche e soprattutto perché reputation era una vera e propria presa di posizione, i cui retroscena non potevano non essere districati. Ora, pur essendo senz’altro vero quanto sopra, io nella vita solo due cose so fare: lamentarmi di aver fatto giurisprudenza, e scrivere di Taylor Swift. Quindi, cari amici vicini e lontani, ecco a voi il Tomone 4.0.™. P.S. Riproporrò in questa sede la conta alcolica, che è stata molto apprezzata nel tomone su reputation, anche perché qualcuno dovrà pur farsi carico della evidente tendenza di Taylor all’etilismo. Io, nel dubbio, metto il SerT tra le chiamate rapide. LADIES AND GENTLEMEN, WILL YOU PLEASE STAND? I Forgot That You Existed [Taylor Swift, Louis Bell, Adam Feeney] La traccia di apertura dell’album pare, almeno di primo acchito, fuori posto: per il tema trattato, infatti, sarebbe sembrata più idonea una sua collocazione in reputation, a chiusura del cerchio. L’interpretazione che io avevo dato di quel disco, infatti, è quella di un percorso organico di crescita in cui si parte dall’affrontare di petto il problema (un vero e proprio invito a farsi sotto, dicevo nel commento a I Did Something Bad) e si arriva al momento in cui ci si rende conto che di certe cose è necessario farsi una ragione e passare oltre (This Is Why We Can’t Have Nice Things), tant’è che, chiosavo, “TS6 indugia molto di più sulla rinascita che sulla rivincita”. Se ci si sofferma appena un po’ di più, tuttavia, si comprende come, invece, abbia senso che si trovi in TS7: innanzitutto, serve del tempo per arrivare a provare quell’indifferenza celebrata nella canzone, serve del tempo per riuscire a vedere le cose dalla giusta prospettiva e con il giusto distacco. Tematicamente sì, questo brano avrebbe avuto senso in reputation, ma forse sarebbe stato un po’ prematuro: avrebbe avuto più il sapore di un “pio desiderio” (in quanto le ferite erano ancora aperte) che di una vera e propria realizzazione di quanto predicato e, proprio per questo, l’affermazione di imperturbabilità sarebbe risultata meno credibile. Inoltre, se del caso, avrebbe potuto trovarsi in reputation soltanto se accompagnata da una produzione ben più corposa: così presentato, infatti, il brano è orecchiabile senza dubbio, ma in qualche misura piuttosto basilare, senza guizzi o trovate brillanti (e anche come durata - nemmeno tre minuti - è piuttosto sottotono). Ma, e questo è il nodo della questione, è giusto così. Anzi, non potrebbe (né dovrebbe) essere altrimenti: è la dimostrazione concreta che quell’indifferenza sia stata raggiunta sul serio. #AlcoholicCount: 0 #FavLyrics: “Sent me a clear message / Taught me some hard lessons / I just forget what they were” Cruel Summer [Taylor Swift, Jack Antonoff, Annie Clark] Chiariamo una cosa, Taylor: non hai diritto alcuno di qualificare un’estate come “crudele” se non l’hai passata sopra i libri a studiare per l’esame di Stato per avvocato. La tua sarà pure “crudele” ma la mia è inumana e probabilmente in contrasto con la CEDU, quindi nella gara a chi ha un'esistenza più misera e barbina vinco io, stacce. Detto ciò, la canzone sarebbe stata un perfetto primo singolo (estivo, a maggior ragione), affatto impegnato e impegnativo ma energico e accattivante, che di sicuro avrebbe destato curiosità dell’album, e mi ha stupito il fatto che non sia stata estratta, lasciando invece l’incombenza a ME!. È piuttosto interessante notare come il brano ricordi per molti aspetti Love Story (“And I snuck in through the garden gate / Every night that summer just to seal my fate” - “So I sneak out to the garden to see you”) con la differenza che se in Love Story la relazione deve restare clandestina (“We keep quiet 'cause we're dead if they knew”), qua invece è vissuta (o almeno questa è l’intenzione) alla luce del sole (“I don't wanna keep secrets just to keep you”). Curiosamente, se ascoltate una di seguito all’altra, Getaway Car e Cruel Summer sembrano operare una transizione senza soluzione di continuità (in questo vi è utile attivare l’opzione “dissolvenza brani” di iTunes), e dove l’una fisiologicamente cala l’altra inizia a crescere, come se fossero, però, la stessa canzone. #AlcoholicCount: 4 (drunk x2, bar x2) #FavLyrics: “Devils roll the dice, angels roll their eyes / And if I bleed, you'll be the last to know” Lover [Taylor Swift] La canzone che dà il titolo all’album fa proprio venir voglia di essere innamorati (ma per fortuna poi passa). Vabbè, dai, cinismo a parte è una canzone dolcissima, e il primissimo ascolto ha avuto su di me l’effetto di farmi vivere la giornata in modo meno scorbutico del solito. Di questo brano mi piace, anzitutto, la presenza massiccia e preponderante del basso in apertura (il suono del basso elettrico è tra quelli che amo di più al mondo, insieme alle fusa di Floppy), che fa venire subito alla mente un ballo tra due sposi: riesco vividamente a vedere la scena, da una parte una piccola orchestra, al centro i due sventurati che ondeggiano come un pupazzo gonfiabile di una concessionaria di auto, e dall’altra parte gli invitati, alcuni commossi, altri che ingurgitano senza ritegno tutte le tartine burro e alici su cui riescono a mettere le mani (ogni riferimento alla sottoscritta all’ultimo matrimonio cui ha partecipato è puramente casuale). Lo stesso bridge ha il gusto di un voto nuziale (e quel “borrowed” e quel “blue” fanno pensare alla tradizione per cui la sposa dovrebbe indossare una cosa prestata e una cosa blu, oltre a una vecchia, una nuova e una regalata). È interessante leggere questa canzone in contrasto con Cornelia Street: se quella, infatti, è pervasa dal dubbio che le cose non durino, questa è permeata di un sano e solido ottimismo, e soprattuto di certezza (“I’ve loved you three summers now, honey, but I want 'em all”). Il verso più interessante, a parer mio, è “And at every table, I'll save you a seat”: Taylor sta affermando che sa che il suo “lover” si presenterà a ogni occasione, cioè non dovrà mai aspettarlo invano. Sono finiti i tempi in cui vi era chi non riusciva nemmeno ad avvertire di non poter partecipare a una festa di compleanno. #AlcoholicCount: 0 #FavLyrics: “Ladies and gentlemen, will you please stand? / With every guitar string scar on my hand / I take this magnetic force of a man to be my / Lover / My heart's been borrowed and yours has been blue / All's well that ends well to end up with you / Swear to be over-dramatic and true to my / Lover” The Man [Taylor Swift, Joel Little] Nessun preambolo, nessuna preliminare divagazione, la canzone inizia secca in medias res e ci racconta come sarebbe la vita di Taylor (e di qualsiasi altra donna) se avesse una stanghetta in meno sul secondo cromosoma X: se, cioè, fosse nata uomo. Il brano gratta appena la superficie del problema, ma nei suoi tre minuti e dieci offre una interessante panoramica esemplificativa dei due pesi e delle due misure cui la società costringe le donne a sottostare, per cui, a parità di comportamento, quello dell’uomo è ammirevole, quello della donna riprovevole. Oppure, a parità di risultati, quelli dell’uomo sono incontestati, quella della donna sminuiti (se non proprio messi in discussione). Ciò che rende interessante ed efficace il brano è il modo stesso in cui è costruito, cioè da un solo punto di vista, quello ipotetico maschile. Per ogni situazione presentata, e il modo in cui questa viene percepita dagli altri, non si illustra anche quella femminile, che invece è lasciata aleggiare nel sottotesto: sta all’ascoltatore rendersi conto di quale sia la realtà. Così facendo, si favorisce la riflessione (o almeno si spera). Quando, per esempio, dice che se fosse un uomo sarebbe “Come Leo [Di Caprio] a Saint Tropez” (in riferimento alla ben nota tendenza di questi a frequentare per brevi periodi solo ragazze appena ventenni), cioè un gran figo, un playboy, non dice anche che, al contrario, nella stessa posizione una donna sarebbe vista solo come una puttana: non lo dice perché è implicito. È, appunto, auspicabilmente l’ascoltatore che, di fronte al verso “I'd be just like Leo in Saint Tropez” si domanderà: “Ochèi, a parti invertite la cosa come sarebbe vista?”. Perché se è Taylor a doverglielo dire, da una parte gli entrerebbe e dall’altra gli uscirebbe o, peggio ancora, verrebbe percepita soltanto come patetico vittimismo. Se invece (sempre auspicabilmente) ci arrivasse da solo, allora, forse c’è speranza. Questa canzone è, senza dubbio, tra le mie preferite di tutto Lover, e in particolare mi ha colpito il bridge, e la dicotomia che si crea nei versi “And it's all good if you're bad / And it's okay if you're mad” e “They'd paint me out to be bad / So it's okay that I'm mad”, dove quel “mad”, l’essere arrabbiati, è l’uno conseguenza dell’altro, laddove però solo il primo è giustificato, perché sentimento appartenente all’uomo. Mi ha fatto, tra le altre cose, venire in mente ciò che disse Cat Grant a Kara Danvers dopo un inusitato scatto d’ira di quest’ultima (in cui, peraltro, chiedeva soltanto di essere trattata con rispetto) nell’episodio 1x06 di Supergirl: “Non puoi arrabbiarti al lavoro, soprattutto se sei una ragazza. Quando lavoravo al Daily Planet, Perry White ha preso una sedia e l’ha gettata fuori dalla finestra perché qualcuno non aveva rispettato una scadenza e no, non aveva aperto la finestra prima. Se io avessi tirato una sedia o, mio Dio, se avessi tirato un fazzoletto, sarebbe stato su tutti i giornali. Sarebbe stato un suicidio professionale e culturale.” Interessante anche quel “When everyone believes you / What's that like?”, e la mente non può tornare al processo per molestie sessuali intentato dal suo molestatore (sic!), il quale non solo ha palpato quel che non doveva, ma ha anche cercato di instillare il dubbio che Taylor non dicesse la verità (e in effetti in molti hanno subito dubitato della sua parola - ordinaria amministrazione per qualsiasi donna). Per approfondire, qui il resoconto della vicenda giudiziaria. #AlcoholicCount: 1 (drinkin’) #FavLyrics: “I'm so sick of running as fast as I can / Wondering if I'd get there quicker if I was a man” The Archer [Taylor Swift, Jack Antonoff] La famigerata traccia numero cinque. Un pezzone che va a fare compagnia a Cold As You, White Horse, Dear John, All Too Well, All You Had To Do Was Stay e Delicate. La voce, siccome riverberata, sembra provenire da lontano, e con essa la riflessione, l’esame di coscienza: Taylor sa di aver ferito (“I’ve been the archer”) ma anche di essere stata ferita (“I’ve been the prey”). È una canzone che parla di sé e parla a sé (come già faceva Never Grow Up), e sembra fare un po’ il punto di ciò che è stato e di quello che dovrà essere (il futuro è dato da quel “Help me hold on to you”, nel senso che Taylor è da lì che intende ripartire). La parte più bella è senza dubbio il bridge, che peraltro attinge testualmente alla filastrocca che vede protagonista l’uovo antropomorfizzato Humpty Dumpty. Detta omelette-wannabe, infatti, “sul muro sedeva” e “dal muro cadeva, e non bastarono a metterlo in piè tutti gli uomini e i cavalli del re” (“Humpty Dumpty sat on a wall / Humpty Dumpty had a great fall / All the king’s horses and all the king’s men / Couldn’t put Humpty together again”). La canzone è altresì colorata da figure idiomatiche quali “I cut off / my nose just to spite my face” (che indica un comportamento che, posto in essere per ira o vendetta, finisce col danneggiare soprattutto l’autore stesso), similitudini (“I pace like a ghost”), metafore (“archer” e “prey”), ed è connotata tanto da una triste rassegnazione agli aspetti negativi della vita (“The room is on fire / Invisible smoke / And all of my heroes / Die all alone”, “Screaming, Who could ever leave me darling... But who could stay?”, “'Cause all of my enemies / started out friends”) quanto da una voglia di riscatto personale (“I’m ready for combat”) perché è lei stessa si definisce la parte oscura (“dark side”) di qualcun altro che reputa migliore. #AlcoholicCount: 0
#FavLyrics: “All the king's horses / All the king's men / Couldn't put me together again / ‘Cause all of my enemies / Started out friends / Help me hold on to you” I Think He Knows [Taylor Swift, Jack Antonoff] Non sono mai stata una fan del falsetto e non cambierò certo idea ora, ma questa canzone mi piace così tanto che posso anche chiudere un occhio (fortunatamente, poi, la cosa riguarda solo i ritornelli). Ciò non toglie che la parte migliore sia il bridge perché: 1) è un bridge di marca Taylor; 2)d lì canta normale. Bello lo schioccare di dita che tiene il tempo e esprime proprio quel senso di sicurezza, quell’attitudine cool che promana dalla persona di cui ci sta parlando. E il modo in cui dice “I’ll drive” mi manda in brodo di giuggiole. #AlcoholicCount: 0 (e per fortuna, visto che ha deciso di guidare) #FavLyrics: “Lyrical smile, indigo eyes, hand on my thigh / We can follow the sparks, I'll drive” Miss Americana & The Heartbreak Prince [Taylor Swift, Joel Little] Se in testa alla Lover-classifica c’è, per me, Death By A Thousand Cuts, bisogna pure ammettere che Miss Americana & The Heartbreak Prince la tallona a stretto, strettissimo giro. Cavolo, potrei persino arrivare a piazzarle ex aequo sul gradino più alto del podio. Tutta la canzone è una grande e riuscita metafora politica, che sfrutta gli elementi tipici del mondo del liceo per raccontare una realtà ben più vasta e attuale. La stessa Taylor, nelle secret session, ha confermato l’origine politica dell’ispirazione. Assodato questo, è allora piuttosto facile interpretare il brano per mezzo di tale specifica chiave di lettura. La canzone illustra una progressiva e inevitabile disillusione nei confronti del mondo che ci circonda. Certo, Taylor si riferisce agli Stati Uniti, ma racconta per forza di cose di un disagio globale. Così, all’inizio - stante anche la fisiologica immaturità data dalla giovane età - tutto sembra idilliaco. Non so se scomodare il Candido di Voltaire e la solita pippa sul migliore dei mondi possibili, ma ci siamo capiti (“You know I adore you, I'm crazier for you / Than I was at 16, lost in a film scene / Waving homecoming queens, marching band playing / I’m lost in the lights”). Ben presto, però, ci si accorge della realtà per quella che è (“American glory faded before me / Now I'm feeling hopeless, ripped up my prom dress / Running through rose thorns, I saw the scoreboard / And ran for my life”). La seconda strofa mi ha fatto pensare fin da subito alla contrapposizione tra Democratici e Repubblicani (il blu, peraltro, è il colore che contraddistingue i primi), e allora non è un’ipotesi peregrina credere che quel “She’s a bad, bad girl” possa riferirsi nientemeno che alla candidata presidenziale Hillary Clinton. Quello stesso blob arancione di Donald Trump l’aveva definita, in effetti, una “nasty woman”. La strofa successiva è ulteriormente esplicativa: alla luce dei rigurgiti fascisti e in generale di estrema destra (“I see the high fives between the bad guys”) in ogni dove, il team di Taylor - come anche quello di tutte le persone sedute dalla parte giusta della storia - “is losing, battered and bruising”. E a questo punto la situazione è più tetra che mai (“American stories burning before me / I’m feeling helpless, the damsels are depressed / Boys will be boys then, where are the wise men? / Darling, I'm scared”). Se non altro, la canzone è permeata anche da sentimenti positivi, in quanto Taylor si dice convinta che prima o poi vinceranno (“And I'll never let you (Go) 'cause I know this is a (Fight) / That someday we're gonna (Win)”). D’altronde anche nel vaso di Pandora, fuorisciti tutti i mali, si era mantenuta sul fondo la speranza. Credo che questa sia una delle canzoni più riuscite di Taylor, non solo di questo album ma della sua carriera intera: è senza dubbio commendevole come sia stata in grado di parlare di una situazione molto specifica senza tuttavia mai farvi riferimenti espliciti, ma soltanto attraverso figure retoriche. Non che ve ne fosse bisogno, ma Miss Americana & The Heartbreak Prince è l’ennesima prova di quale cantautrice talentuosa sia. Cambiando radicalmente discorso, la base di Miss Americana & The Heartbreak Prince ricorda tantissimo quella di So It Goes… tant’è vero che nei primissimi ascolti, mentre ancora tutto era un brodo primordiale e facevo fatica a distinguere gli elementi di specificità, dopo “It's been a long time coming, but” mi veniva quasi automatico completare con “And all our pieces fall / Right into place”. #AlcoholicCount: 0 (eppure in questo caso avrebbe avuto tutti i motivi de ‘mbriacasse) #FavLyrics: “American stories burning before me / I’m feeling helpless, the damsels are depressed” Paper Rings [Taylor Swift, Jack Antonoff] Questa canzone è speculare a Stay Stay Stay. In effetti, si può dire che a essersi invertite siano i ruoli. Se in Stay Stay Stay era l’altra persona a farsi carico, oltre che delle cose positive (“My hopes and dreams”) anche di quelle negative (“My fears” e le arrabbiature), qui è Taylor a dire di volere contribuire a portare il fardello (“I want your complications too / I want your dreary Mondays”) perché, evidentemente, ora è psicologicamente in grado di farlo. Non solo, ma anche i due pre-ritornelli, identici se non per la variazione dei pronomi (“I” e “You”) denotano equilibrio e parità nel rapporto, segno di maturità. Questa canzone mi fa pensare agli anni ’60 (epoca che ho sempre associato a idee positive e possibilità), e il fatto che sia così up-tempo me la rende davvero irresistibile. #AlcoholicCount: 1 (wine) #FavLyrics: “I like shiny things, but I'd marry you with paper rings” Cornelia Street [Taylor Swift] La canzone è delimitata, all’inizio e alla fine, da due versi uguali: “«I rent a place on Cornelia Street», I said casually in the car”, e tutto quello che c’è in mezzo non è che un film mentale. Taylor immagina la vita in Cornelia Street, e ragiona sulla paura che ha di perdere la persona con cui, nella casa situata in quella medesima via, vorrebbe trascorrere la vita. In quattro minuti viene sviscerata tutta la storia, dagli inizi ancora tutti da scoprire e da comprendere (“We were a fresh page on the desk / Filling in the blanks as we go / As if the street lights pointed in an arrow head / Leading us home”), passando per gli inevitabili problemi (“I packed my bags, left Cornelia Street / Before you even knew I was gone”) fino ad arrivare, da ultimo, alla positiva risoluzione (“But then you called, showed your hand / I turned around before I hit the tunnel / Sat on the roof, you and I / You hold my hand on the street / Walk me back to that apartment”). Alla fine, però, la canzone ritorna al punto di partenza (“«I rent a place on Cornelia Street», I said casually in the car”), ed è come se Taylor si riscuotesse da quella fantasia: nulla di tutto quello che ha cantato è accaduto, ma potrebbe. Ma forte di quel lieto fine, butta lì di aver affittato un posto... Piccola nota curiosa: l’autoplagio. I versi del bridge “Barefoot in the kitchen / Sacred new beginnings” suonano esattamente identici al ritornello di Invisibile, brano del suo primo disco (“I just wanna show you / she don’t even know you”). #AlcoholicCount: 3 (drink, drinks, bar) #FavLyrics: “We were a fresh page on the desk / Filling in the blanks as we go / As if the street lights pointed in an arrow head / Leading us home” Death By A Thousand Cuts [Taylor Swift, Jack Antonoff] Questa canzone è ciò che, in reputation, è stata per me Getaway Car, ciò che in 1989 è stata Wonderland, ciò che in Red è stata Holy Ground, ciò che in Speak Now è stata Long Live, ciò che in Fearless è stata Love Story, e ciò che, infine, in Taylor Swift è stata I’m Only Me When I’m With You. Trattasi, in poche parole, di quelle canzoni che vorrei trasmesse in filodiffusione sulla mia tomba, roba che già da ora sto mettendo da parte i soldi per pagare la SIAE, così almeno il mio esecutore testamentario non avrà di che preoccuparsi. Quello che mi piace di questo brano è come sia così pieno di un’emozione tanto intensa - emozione che sembra fuoriuscire proprio da quei mille tagli - ma non essere in alcun modo ispirato alla vita privata di Taylor (per quanto, ovviamente, nessuna canzone di un’autrice così coinvolta come Taylor potrà mai essere intrepretata asetticamente: un minimo di lei e delle sue esperienze c’è e ci sarà sempre). In questo caso, infatti, l’ispirazione è dichiaratamente il film Netflix Someone Great scritto e diretto da Jennifer Katyn Robinson. Film che, va detto, non ho alcuna intenzione di guardare perché le commedie romantiche non sono tanto il mio genere, e soprattutto perché non ho nessunissima voglia di associare questa canzone a film diversi che non siano quelli che mi faccio io in testa. #AlcoholicCount: 4 (drunk x3, wine) (e il fatto che abbia iniziato a parlare ai semafori non depone certo a favore della sobrietà) #FavLyrics: “Paper cut stains from my paper-thin plans / My time, my wine, my spirit, my trust / Tryna find a part of me you didn't take up / Gave you so much, but it wasn't enough / But I'll be alright, it's just a thousand cuts” London Boy [Taylor Swift, Jack Antonoff, Cautious Clay, Mark Anthony Spears] Questa è la canzone che mi piace di meno. È leggera e senza pretese, una versione più sofisticata di Gorgeous, ma mentre quella alla fine è simpatica e divertente, questa non è niente di più de ‘na Lonely Planet di Londra, e in effetti salvo (ma appena appena) solo il ritornello. Ad ogni modo, fortuna che si è innamorata di un ragazzo di Londra, perché la città, con i suoi numerosi punti di interesse e la sua vivacità culturale, si presta ad essere “visitata” virtualmente. Chissà che pezzo avremmo ottenuto se si fosse innamorata di un ragazzo di Pantiere di Castelbellino. #AlcoholicCount: 3 (Tennessee whiskey, pub, drinking) #FavLyrics: “But something happened, I heard him laughing / I saw the dimples first and then I heard the accent / They say home is where the heart is / But that's not where mine lives” Soon You’ll Get Better (feat. Dixie Chicks) [Taylor Swift, Jack Antonoff] Questa canzone, come già Ronan, è una di quelle che ti devastano l’anima. Pertanto questa canzone, come già Ronan, la skipperò a ogni piè sospinto. È la seconda volta che Taylor affronta un tema orrendo come il cancro, ma se Ronan celebrava e piangeva un bambino che non aveva mai conosciuto, Soon You’ll Get Better la riguarda personalmente, trattandosi di sua madre Andrea. Sono i dettagli che colpiscono, dettagli concreti, palpabili: non si parla, qui, della luce ultravioletta del mattino, o di fumo invisibile, ma di capelli che si intrecciano ai bottoni del cappotto, i barattoli arancioni dei medicinali (che Taylor definisce “holy”, “sacri”, perché potrebbero contenere la chiave della salvezza), lo studio del medico: è come se la cruda realtà si fosse rivelata tutta insieme, come una doccia fredda, e si notano cose cui mai si sarebbe pensato di dover prestare attenzione. Quando, nell’introduzione, parlavo delle sfaccettature spaventose dell’amore, è a questa canzone che mi riferivo. Qui, infatti, emerge tutta la paura di Taylor di perdere la persona che ama di più al mondo (“Desperate people find faith, so now I pray to Jesus too”), ma anche tutta l’intenzione che ha di sostenerla in questo percorso: vuole illuminarle il cielo, e anche se è consapevole di non essere in grado di farlo, ci proverà lo stesso (“I’ll paint the kitchen neon, I'll brighten up the sky / I know I'll never get it, there's not a day that I won't try”) (questo pezzo mi devasta solo a scriverlo). E allora adesso ciò che il promemoria di Never Grow Up (“Remember that she’s getting older too”) lasciava implicito, cioè che la madre non ci sarebbe stata per sempre, si carica di un significato ben più severo, un ulteriore non detto che pesa come un macigno: “Non ci sarà per sempre, e potrebbe esserci per ancora meno tempo”. E se in Never Grow Up si faceva riferimento a quell’egoismo di un’adolescente che non vede, giustamente, l’ora di vivere la vita alle sue condizioni (“And you can't wait to move out someday and call your own shots”), qua emerge l’egoismo tipico e comprensibile di chi, di fronte a un lutto - vero o solo potenziale - mette al centro se stesso: paradossalmente, infatti, la morte non è mai questione di chi se ne va, ma di chi resta, che deve imparare a vivere facendo a meno di qualcosa su cui ha sempre potuto contare (“And I hate to make this all about me / But who am I supposed to talk to? / What am I supposed to do / If there's no you?”). Questi versi credo siano tra i più belli di Taylor, perché di un’onestà disarmante e dolorosissima. #AlcoholicCount: 0 #FavLyrics: “I’ll paint the kitchen neon, I'll brighten up the sky / I know I'll never get it, there's not a day that I won't try” False God [Taylor Swift, Jack Antonoff] Per prima cosa, buon per Taylor ad avere così tanta stima di sé da paragonarsi a New York City. Io sò dieci anni che me sento come la zona industriale di Baranzate. Per seconda cosa, questa canzone detiene senz’altro lo scettro e la corona e il mantello d’ermellino di canzone più suggestiva di tutto il disco. L’atmosfera, data dal sassofono, è scura e fumosa, quasi da locale seminterrato in cui si suona il jazz. Mi sembra proprio di vedere gli avventori, la band, i camerieri che si destreggiano tra i tavoli con i vassoi. L’unica altra canzone che mi abbia mai fatto così vividamente pensare a una simile scenografia è Piano Man di Billy Joel, che però è già in partenza ambientata in un bar. Quindi plauso a Taylor per aver saputo evocare immagini in me tanto realistiche senza elementi che le richiamino direttamente. Ora che ci penso anche So It Goes... aveva sortito un effetto analogo, quindi complimenti due volte. Ora, la canzone si snoda fondamentalmente sul contrasto tra sacro e profano, laddove però, a ben guardare, il sacro ha ben poco di sacro (è una religione che adora un falso Dio), e il profano è davvero profano (finanche peccaminoso: “But we might just get away with it / Religion's in your lips”, “We might just get away with it / The altar is my hips”) e l’una e l’altra cosa costituiscono, alla fin fine, causa ed effetto reciproche. #AlcoholicCount: 1 (wine) #FavLyrics: “But we might just get away with it / Religion's in your lips / Even if it's a false god / We'd still worship / We might just get away with it / The altar is my hips / Even if it's a false god / We'd still worship this love” You Need To Calm Down [Taylor Swift, Joel Little] Per quanto riguarda questa canzone, resto ferma sulle mie convinzioni iniziali (di cui potete leggere diffusamente qui). C’è sicuramente da lodare il testo impegnato, che ben si colloca nell’economia globale dell’album e rappresenta adeguatamente la presa di consapevolezza politica di Taylor, e sopratutto la strutturazione in tre grandi blocchi tematici (gli hater, la discriminazione della comunità LGBTQ, l’artificiosa competizione tra donne) ma resta, comunque, irrimediabilmente scarna a livello musicale. #AlcoholicCount: 1 (Patrón) #FavLyrics: “And I ain't tryna mess with your self-expression / But I've learned the lesson / That stressing and obsessing / ‘Bout somebody else is no fun. / And snakes and stones never broke my bones” Afterglow [Taylor Swift, Louis Belle, Adam Feeney] Una delle canzoni più interessanti è senz’altro Afterglow. Potrebbe, tematicamente, fare il paio con il verso di The Archer dove Taylor sottolinea la sua tendenza autodistruttiva a rovinare qualcosa di buono e a danneggiare se stessa nel medesimo processo (“I cut off / my nose just to spite my face” ). Qui, in effetti, lo dice peraltro esplicitamente, senza farsi scudo della retorica: “I blew things out of proportion”, “Thought I had reason to attack”, “Why'd I have to break what I love so much?”, “I'm to blame”, “Hey, it's all me, in my head / I’m the one who burned us down”. Ci vuole coraggio ad ammettere di essere in torto e a fare un passo indietro, assumersi le proprie colpe, ed è quello che sta facendo qui Taylor. #AlcoholicCount: 0 #FavLyrics: “It's so excruciating to see you low / Just wanna lift you up and not let you go” ME! (feat. Brendon Urie) [Taylor Swift, Brendon Urie, Joel Little] Il brano che è nientemeno il primo singolo estratto da Lover è anche quello che, a questo punto, sembra il più fuori posto. Liricamente è la canzone più debole di tutte (insieme a London Boy), ciò non toglie che mi era piaciuta all’epoca e continua a piacermi ora (avendo contezza, certo, che rispetto ad altri pezzi il confronto è impietoso). Non mi dilungherò troppo, e per un’analisi più approfondita vi invito a leggere qui. In questa sede mi limito a dire che la canzone mi piace perché, fondamentalmente, è un’esaltazione della singolarità e delle imperfezioni di ognuno, cose che in fin dei conti ci rendono quel che siamo. Rispetto alla versione singolo, quella dell’album ha perso il verso “Hey kids, spelling is fun”. Tanto quanto non capivo perché vi fosse stato inserito in primo luogo, tanto non ho capito perché abbia deciso di toglierlo. Sì, c’è chi si è lamentato perché lo trovava stupido, ma non è che stiamo parlando di una canzone papabile per il Nobel per la letteratura, quindi boh, statevi un po’ scialli. Tra l’altro il buco, per chi è abituato alla versione originale, si nota parecchio. #AlcoholicCount: 0 #FavLyrics: “Living in winter, I am your summer” It’s Nice To Have A Friend [Taylor Swift, Louis Bell, Adam Feeney] Sarò sincera: io questa canzone non l’ho capita. Per prima cosa, strana è strana. È anche molto breve, durando appena due minuti e trenta. In realtà non è tanto il fatto che sia breve a essere strano (I Forgot That You Existed ne dura 2:51, Cruel Summer 2:58, I Think He Knows 2:53, You Need To Calm Down 2:51) quanto piuttosto che mi pare che manchi qualcosa. Come se uno andasse al cinema a vedere un film di Star Wars e poi uscisse dalla sala dopo aver letto le scritte in giallo (non che, in effetti, la terza trilogia dia motivi validi di restare fino alla fine della pellicola). La sensazione che mi provoca è di essere rimasta in qualche modo “appesa”. “Sì, e quindi? Finito qua?” ho pensato. Il Manzoni si sarebbe domandato dove fosse “il sugo della storia”. Volendo lavorare un po’ di fantasia, in effetti, una storia c’è. O forse sono semplicemente io che mi sono costretta a trovarla, perché tanto di qualcosa avrei dovuto scrivere. Innanzitutto, la canzone è molto basilare nella sua struttura: si alternano semplicemente tre strofe e tre ritornelli, senza nemmeno un bridge. Le strofe, ad ogni modo, hanno uno sviluppo narrativo evidente, seppure piuttosto fumoso. A me sembra (ma qualsiasi cosa dica è da prendere cum grano salis, perché ripeto, questa canzone non l’ho capita) la nascita di un’amicizia che poi si trasforma in amore, e quell’amore viene infine sigillato nel matrimonio. Così abbiamo: Strofa 1: “”Wanna hang out?" Yes, sounds like fun” ; Strofa 2: “Something gave you the nerve / To touch my hand”; Strofa 3: “Church bells ring, carry me home / Rice on the ground looks like snow”. E non deve, allora, suonare fuorviante quel “friend” del titolo e dei ritornelli, perché l’amore passa anche dall’amicizia (e non necessariamente il primo assorbe la seconda). In effetti, già in You Are In Love Taylor non esclude le due cose, e le fa coesistere contemporaneamente: “Pauses, then says "You're my best friend, "And you knew what it was / He is in love”. Peraltro, anche in Paper Rings si passa dall’essere amici all’essere, evidentemente, qualcosa di più. Ciò che, ad ogni modo, mi fa impazzire (in senso sia positivo - perché mi piace un sacco - che negativo - perché non ho idea per quale motivo sia lì) di questa canzone è la tromba, che conferisce al brano un’atmosfera davvero indecifrabile. #AlcoholicCount: 0 #FavLyrics: “Light pink sky up on the roof / Sun sinks down, no curfew” Daylight [Taylor Swift] Fatta eccezione per l’album omonimo, tutti i dischi di Taylor si chiudono su una nota positiva (Change, Long Live, Begin Again, Clean, New Year’s Day). Evidentemente, anche questo non è da meno. È in qualche modo confortante rendersi conto che Taylor ora si trovi in un momento della vita in cui non vede che la luce del giorno (per quanto non tutti i cieli siano sempre luminosi, come quelli che sovrastano quanto raccontato in Soon You’ll Get Better). Ora, il bello delle canzoni di Taylor è come, sebbene nella maggior parte dei casi ancorate a situazioni personali specifiche, e in linea di massima riflettenti le sue esperienze e le sue considerazioni sull’amore romantico, possano in ogni caso attagliarsi anche a persone che, poniamo, hanno intenzione di vivere la propria esistenza da zitella con un gatto di nome Secondo Conflitto Mondiale. Perché se è vero ed evidente che Daylight parli dell’amore, e quella sensazione di ottimismo che vi si accompagna una volta trovato, è pure vero che vi si possa intuire anche un significato più universale. Per quanto mi riguarda, versi come “I've been sleeping so long in a 20-year dark night / And now I see daylight, I only see daylight” mi fanno credere e sperare che a un certo punto le cose andranno a posto. Nel mio caso specifico, la mia notte oscura e piena di terrore dura da dieci anni e non da venti (pietra miliare di quando è andato tutto a scatafascio è stata l’iscrizione a giurisprudenza), ma per il resto mi ci ritrovo. In definitiva questa canzone mi fa pensare a quel fumetto in cui c’è una persona con un cubo di Rubik al posto della testa, tutto mescolato, e la didascalia che accompagna le vignette spiega che se ancora non hai capito quale sia il senso e lo scopo di tutto, non significa che non ci riuscirai e un giorno - e qui il tipo ha il cubo in perfetto ordine - potresti addirittura guardare indietro e chiederti perché mai ti eri preoccupato tanto. Tutto però sta arrivarci, a quel giorno, e non sbroccare prima (tutti gli allibratori dei peggiori bar di Baranzate danno per assolutamente certa la seconda circostanza, comunque). Ma basta parlare di me e dei miei patemi esistenziali. Per quanto invece concerne, nello specifico, l’amore romantico, è interessante vedere quel riferimento esplicito a Red (“I once believed love would be burning red”) e di come la prospettiva di Taylor sulla questione sia cambiata in positivo, tanto che adesso quel medesimo sentimento non è più rosso, ma oro. #AlcoholicCount: 0 #FavLyrics: “I’ve been sleeping so long in a 20-year dark night / And now I see daylight, I only see daylight” STEP INTO THE DAYLIGHT AND LET GO Un paio di considerazioni tecniche, prima di quelle emotive. Mi ha stupito parecchio la presenza di ben quattro canzoni che non arrivano nemmeno a tre minuti, che per me è un po’ un requisito di durata minimo. La cosa, certo, è compensata dal fatto che nel disco siano presenti ben diciotto brani, un’enormità, ma un minimissimo sforzo in più forse si poteva anche fare. Non è una cosa poi così fondamentale, dopotutto è la qualità che conta, ma il fatto che quei pezzi entrino tre-quattro volte in alcune delle mie canzoni preferite in assoluto nei secoli dei secoli amen (Nightfall On The Grey Mountains [Rhapsody] 7:20, Destruction Preventer [Sonata Arctica] 7:39, White Pearl, Black Oceans… [Sonata Arctica] 8:47, The Scarecrow [Avantasia] 11:15) mi lascia un po’ così. Non serve nemmeno andare a pescare in un genere lontano come il metal, quando la stessa Taylor, ai tempi, non si faceva certo scrupoli a dilungarsi (Dear John 6:46, Last Kiss 6:09, Enchanted 5:53, Long Live 5:18). Ma vabbè, è una riflessione che lascia un po’ il tempo (capito? Il “tempo”... *tap tap* è acceso questo coso?) che trova. Per il resto, ho apprezzato moltissimo come Taylor sia stata in grado di rinnovarsi anche questa volta, e soprattuto come abbia saputo, di nuovo, sperimentare: ci sono alcuni punti, infatti, estremamente suggestivi (quali la tromba di It’s Nice To Have a Friend, il sax di False God, quell’intermezzo strumentale che inizia al minuto 2:54 di Miss Americana) che è certo inusuale trovare in brani pop. Per quanto riguarda le considerazioni emotive, non ho poi molto da dire se non che un album upbeat come questo non poteva capitarmi in un periodo peggiore (e quindi, in senso lato, migliore), dove in termini di futuro e di soddisfazione personale - fatta eccezione per il romanzo per il quale ho firmato un contratto di edizione - non riesco a vedere più in là del mio naso (e non c’entra il fatto che sia più miope di Hans Uomo Talpa). Quindi niente: siccome quest’esistenza stinfia al momento non sembra che un lunghissimo lunedì, posso almeno dire che c’è la musica di Taylor a renderla meno dreary e più shiny.
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qualchestolto-blog · 6 years ago
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INTRODUZIONE:
Nel bel mezzo del cammin di Vostra vita, vi ritrovate in una selva non troppo oscura, anzi, è un pacifico boschetto di campagna, in una bella giornata di sole d'autunno - adattate la vegetazione alla latitudine che vi è più familiare - resta il fatto che la retta via pare smarrita.  Dopo un bel po’ di camminare, in quell’attimo intermedio e neutro tra la rilassatezza e il principio d’angoscia d’esservi persi, incappate in una cabina elettrica, un piccolo e comune edificio a forma di torre, vecchio e avvolto dalla vegetazione, da chiome e rampicanti. La porta è stranamente socchiusa e, ancor più strano, invitante e irresistibile ad entrarci. Varcate l’uscio. In un angolo dello stabile c’è una scatola di cartone inspiegabilmente immacolata, rispetto agli interni cadenti e il pavimento lurido, la quale richiama la vostra attenzione. La aprite. All’interno, con grande sgomento, vi trovate la vostra stessa testa priva di collo e di corpo. Essa ricambierà il vostro sguardo e vi annuncerà di stare per rivelarvi due terribili verità ed una impietosa bugia. Se scegliete di distogliere lo sguardo ed andarvene via subito, una volta usciti proverete un lieve senso di assopimento e vi sveglierete un istante dopo a casa vostra; sarà stato solo un sogno. Se scegliete di restare ed ascoltare, l’esperienza sarà reale in tutto e per tutto; le rivelazioni avranno peso nella realtà.  Appena guarderete altrove, testa e scatola spariranno; quando uscirete, ritroverete subito la via di casa.  Come è consuetudine per le faccende paranormali, quasi nessuno al mondo vi prenderà sul serio, se mai ne parlereste. Se decidete di ascoltare, non potrete farne a meno: anche se fuggireste nel mentre, la voce della testa vi raggiungerà e capireste comunque ogni singola parola. Non c’è modo immediato per distinguere delle tre profezie quale è quella menzognera.
Che fate?
A) Restate ad ascoltare. B) Smettete di guardare e ve ne andate
Complice un singolare fenomeno di atavismo, una volta qualche Stolto, immaginate: un giovane uomo abitante delle verdeggianti, a tratti anche selvaggie, ma inquinate prealpi lombarde, scelse la seconda opzione.
Smise di guardare e una volta varcato per la seconda e ultima volta quell’uscio discretamente invitante che ora dall’interno aveva perduto tutto ciò che lo Stolto vi ci aveva trovato di allettante, iniziò ad assopirsi nell’arco di quelli che parvero, dalla prospettiva spiritata della testa inscatolata e da quella adamantina del cemento del gabbiotto avvolto di piante, decenni.  Alla loro vista, pareva una manica vuota riempita dal vento che s’affloscia perchè quest’ultimo sta venendo meno, però in questo caso calando giù alla stessa velocità con cui si innalza e si dirama un albero secolare.  L’edificio di quadrelli di cemento e colate era moderatamente stizzito, perchè avrebbe passato una ulteriore quantità di tempo in quel limbo di quasi-esistenza, tempo che peraltro l’edificio si ritrovava non disposto d’organi appropriati per percepire nel suo passaggio. Certo, usando qualche calcinaccio caduto per volta e qualche conticino, avrebbe potuto stimare la sua età anagrafica ma comunque rimaneva un compito al di là delle sue possibilità in quanto, nuovamente, non disponeva di organi adatti a contare o quantomeno conoscere la quantità di intonaco che lo ricopriva, o che giaceva attorno a lui; beffa al danno, non conosceva neppure le sue dimensioni.  Si sentiva un po’ pesante poichè a poco a poco le sue fondamenta parevano sprofondare nel terriccio bruno sotto l’erba ai suoi piedi, ma nulla più di questo.  Quante volte, quanti stolti avevano sognato o vissuto di varcare la sua soglia?  Al gabbiotto parevano tante, ma con prudenza si astenne dal darsi risposta in quanto si sentiva sì un po’ cadente, ma di certo non un rudere, desumendolo proprio da questo sprofondamento che continuava e anzi, pareva accelerare.  Se fosse stato un rudere, i suoi pezzi mancanti lo avrebbero alleggerito e lo sprofondamento sarebbe diminuito.  Come tutti i suoi simili nell’universo, se non altro, non era uno sciocco e percepiva la fugacità apparente della gravità, che nel suo caso non era abbastanza forte da farlo crollare su se stesso, aveva difatti una pellaccia bella solida, di quadrelli e cemento armato;  comunque la gravità, strana apparenza fisica causata dalla enorme massa sottostante l’edificio, fino al suolo capovolto ben più sotto, sfogava lo stesso, nell’unica possibile via, il suo impeto così limitato dalle altre forze che con lei albergano nello spazio, cercando di portarselo giù, sempre più giù, in basso.
Quale verso è il Basso?  Ahinoi, ci sono una manciata di risposte a questa domanda, diverse tanto quanto le cose nell’universo e le loro mille opinioni sullo stesso, anche se il nostro trio, Stolto, Gabbiotto e Testa, condividevano la risposta, il giù dove si cade.  Gabbiotto era sempre stato un tipo da ampollose speculazioni di filosofia naturale e di fisica, avendo così carenza di organi necessari a sentire il cosmo oppure i suoi immediati paraggi;  lo Stolto, bè!, lui si gettava similmente a capofitto in codeste speculazioni ma non ne traeva altro scopo più nobile dell’appagamento di un viscerale narcisismo.  Testa, invece, aveva ben altri problemi a cui far fronte, perciò non si chiedeva neanche per sogno in che direzione sarebbe caduta se il pavimento e la scatola di cartone fossero mancati sotto di lei.
Per equanimità, è doveroso quantomeno accennare alla drammatica condizione esistenziale di Testa.  Ella (o Essa) non ha sesso se non quello grammaticale, che varia pure da un’idioma di Stolti all’altro;  non ha un’aspetto definito e una bagaglio di conoscenza isolabile, infatti le sue profezie e i suoi tratti mutano con il variare dello Stolto avventore - è a malapena distinguibile da tutto ciò che fisicamente la circonda in quanto entità. Beffa al danno, non è neanche una entità le cui proprietà sono abbastanza usuali nel cosmo, pertanto si può facilmente intuire a quali difficoltà vada Ella (o Essa) incontro nella sua quasi-esistenza: pensare che si sente persino in colpa di eventualmente star bloccando il possente Gabbiotto in questo limbo che forse non è neanche parte dell’universo, o forse sì.
Insomma, sono faccende spinose la cui analisi giova a fatica all’umore e che travalicherò, seppur con grande rammarico.  Di una cosa siamo certi: lo Stolto esiste, non quasi-esiste.  Con tracotanza decise di non guardare o ascoltare ulteriormente Testa e di risvegliarsi a casa sua, come al solito bighellonando in sogno, carente di rispetto, in reami e al cospetto di quasi-esistenze probabilmente ben più pensierose di lui.  Con la gonfia spensieratezza di una galassia che fa le spallucce perchè il suo turbinio lancia una per lei piccola ed innumerevole stella ed i suoi pianeti nel vuoto intergalattico, lo Stolto si alza dal materasso sul quale si era addormentato qualche ora prima.  Questo Stolto durante la notte sudava e dunque procede a lanciarsi scriteriatamente nel vano della doccia per stroncare in un sol colpo di rubinetto appiccicume e assonnatezza. Mentre si lavava via l’odore del bosco e di quell’edificio nel sogno, sotto la cataratta tiepida di gocce, nella sua testa due occhi di un colore castano rossiccio, si insinuano come un cavatappi nel sughero, scricchiolando sordamente. Un punto nero con intorno il colore della terracotta unta o della ruggine bagnata, o il legno chiaro con sopra la gommalacca, il colore di una castagna timida e rotondetta in un riccio bianco e senza spine, circondato da qualche petalo nero filiforme e una pelle che non si può capire se esser più morbida a guardarsi, toccarsi o baciarsi.
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kianphillips · 2 years ago
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Analisi Grammaticale
In analisi grammaticale viene analizzata ogni singola parola dal punto di vista della categoria grammaticale. Non va confusa con l’analisi logica che si occupa invece del rapporto logico-sintattico tra le parti della frase. Fare l’analisi grammaticale non è poi così difficile. Basta seguire alcune semplici regole. Analizzate parola per parola e cercate di capire che funzione grammaticale ha nella frase.
analisigrammaticale.net
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dalystranslationcentre · 3 years ago
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Corso di italiano per studenti delle scuole secondarie
Corso di italiano per studenti delle scuole secondarie
Quali corsi? Corsi di grammatica: analisi grammaticale, logica, tempi verbali, ortografia… homeschooling/istruzione parentale Corsi di recupero/potenziamento I corsi sono effettuati online Età studenti Età scolare: scuola secondaria di primo grado, scuola secondaria di secondo grado.
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goblincafe · 3 years ago
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🤔🤔🤔 Il Goblin Café non è solo giochi e divertimento ma anche analisi logica e grammaticale. (presso Goblin Café) https://www.instagram.com/p/CRQ2hw3hpcw/?utm_medium=tumblr
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levysoft · 4 years ago
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Si fa un gran parlare di intelligenza artificiale: computer che riconoscono la voce, come Siri o Alexa o OK Google, giocano a scacchi meglio degli esseri umani, identificano ed evitano ostacoli nella guida autonoma o assistita, con tempi di reazione fulminei e irraggiungibili per una persona. È facile pensare che siamo ormai vicini alla creazione di una vera intelligenza sintetica generalista, capace di competere con un essere umano.
Ma l’informatico statunitense Terry Winograd ha ideato un test che dimostra che non è affatto così. Il bello è che lo ha fatto nel 1972, e il suo test funziona ancora adesso. Non per nulla è diventato professore d’informatica alla Stanford University ed è considerato uno dei massimi esperti nel settore.
Il test di Winograd è beffardo, dal punto di vista degli informatici, per la sua semplicità. Una delle sue formulazioni tipiche è questa:
Il trofeo non ci stava nella valigia marrone perché era troppo grande.
Una frase banale, con una struttura grammaticale semplice e parole comunissime, perfettamente comprensibile. Talmente comprensibile e ovvia, per noi umani, che neanche ci accorgiamo che è ambigua. Quale dei due oggetti era troppo grande? Il trofeo o la valigia? Per noi la risposta è istantanea. Per un computer, invece, no.
Infatti una semplice analisi meccanica della frase (“questo è un sostantivo, questo è un verbo”, eccetera) non consente di risolvere l’ambiguità. Per farlo bisogna sapere che cos’è un trofeo, che cos’è una valigia, quali sono i normali rapporti di dimensione fra trofei e valigie, che le valigie sono fatte per contenere oggetti e i trofei no, e il fatto che se l’oggetto A deve stare dentro l’oggetto B, non è un problema se l’oggetto B è molto più grande dell’oggetto A: bisogna sapere che le cose piccole possono stare dentro le cose grandi ma non viceversa.
Non è neanche possibile usare uno dei trucchi preferiti dei sistemi di intelligenza artificiale, ossia sfruttare un enorme corpus di testo e un po’ di statistica per arrivare a una disambiguazione affidabile, o la tecnica tipica degli assistenti vocali, ossia estrarre le singole parole riconosciute e tirare a indovinare sul significato generale della frase. Serve esperienza del mondo.
Il test di Winograd ha varie versioni, chiamate schemi, composte da due frasi che sono differenti tra loro soltanto per una o due parole ma contengono un’ambiguità che si risolve in due modi opposti. Risolverla non è possibile usando le regole della grammatica e della sintassi: richiede conoscenza della realtà e ragionamento. Un computer che fosse capace di farlo sarebbe, all’atto pratico, intelligente.
Questo è un esempio di schema di Winograd:
I consiglieri comunali rifiutarono il permesso ai manifestanti perché temevano disordini
I consiglieri comunali rifiutarono il permesso ai manifestanti perché istigavano disordini
Le persone interpretano la prima frase nel senso che sono i consiglieri comunali a temere disordini; interpretano la seconda nel senso che gli istigatori sono i manifestanti. Eppure le frasi sono strutturalmente identiche. Lo fanno perché sanno cosa sono i consiglieri comunali e quali sono i loro compiti, e sanno che cosa sono le manifestazioni e le loro possibili conseguenze.
Beh, direte voi, ma frasi ambigue come queste sono rare. Invece no: un gruppo di ricercatori ne ha radunati 150 esempi, da usare come test d’intelligenza per computer. Frasi banalissime, come “ho messo un libro pesante sul tavolo e si è rotto”. Persino GPT-2, uno dei sistemi di intelligenza artificiale più moderni applicato al linguaggio, va in crisi di fronte agli schemi di Winograd, come spiega bene Tom Scott in questo video.
Potremmo risolvere il problema rivolgendoci ai computer in modo meno ambiguo? È improbabile. Il guaio è, infatti, che siamo talmente abituati a usare sottintesi basati sulla conoscenza del contesto che troveremmo estenuante parlare o scrivere in maniera perfettamente non ambigua.
Questa necessità di avere contesto per capire e risolvere le ambiguità non è solo una questione linguistica: è un ostacolo per un settore delicatissimo come la guida autonoma.
Un’automobile che usi un sistema di puro riconoscimento delle immagini, per esempio, verrà confusa dall’immagine della bambina in mezzo alla strada che vedete all’inizio di questo articolo e probabilmente frenerà di colpo per non colpirla. Al sistema mancano il contesto temporale (la deduzione delle forme reali a partire dal modo in cui cambia l’aspetto nel corso del tempo, e alcuni costruttori ci stanno lavorando) e la conoscenza del comportamento dei bambini: due cose che consentono di capire che non ha senso che una bambina sia perfettamente immobile in quella posizione e che la forma della “bambina” cambia, man mano che ci si avvicina, in un modo che rivela senza dubbio che si tratta di un disegno applicato alla superficie stradale.
Senza dubbio, s’intende, se siete esseri umani. Forse servono strade disambiguate, percorsi semplificati e ben demarcati, che vengano incontro alle limitate capacità dei sistemi di guida autonoma attuali.
Chiarisco che qui non si tratta di rivendicare una superiorità innata e invalicabile dei cervelli biologici su quelli sintetici: non è la materia prima che fa la differenza, è la conoscenza associata agli oggetti che vengono elaborati. Noi l’abbiamo (la acquisiamo), ma le macchine no, perché non gliela diamo. Il giorno che sapremo insegnare a un computer questa conoscenza, avremo davvero macchine intelligenti.  
In sintesi: l’intelligenza artificiale fallisce in modi profondamente “inumani”. Dà l’illusione della comprensione. Questo rende particolarmente difficile prevedere i suoi errori e correggerli. Specialmente quando si è al volante. Ricordiamocene prima di affidarci a questi sistemi.
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